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22 giugno 2016
Il delitto di movida
È previsto anche il Daspo: da 48 ore minimo a 12 mesi di allontanamento, per chi abusa della movida infrangendo le leggi. Mentre nella città di Alghero, ma anche a Castelsardo, infuriano sconsiderate polemiche sull’uso del suolo pubblico, ecco il decreto preparato dal Ministro degli interni che approderà presto sul tavolo del Consiglio dei ministri. Sarà più forte il coordinamento dello Stato attraverso prefetti e questori. E aumenterà il potere dei sindaci che potranno firmare “ordinanze stabili” cioè non impugnabile. Un modo per proteggere il diritto alla vita quotidiana di tutti. Al fondo una nuova filosofia: «la sicurezza come bene pubblico»


Movida... mo-vi-da: le sillabe sbattano sul palato tre volte liberando nell’aria il dolce suono di una parola magica. Pensate: la Movida Madrileña fu un movimento culturale nella Spagna liberata dalla dittatura franchista. Che grande parola! Una volta. Ora, cinico destino delle belle parole, ha perso il suo significato originario, associata invece alle forme del turismo più degradato, del divertimento invasivo, del consumo proibito (dall’alcol alla droga), dell’imprenditoria selvaggia, dell’abuso degli spazi pubblici, l’offesa al decoro delle città… Così la movida si è trasformata in una parola incompatibile con la sicurezza stessa dei cittadini in vacanza, in un pericolo da scansare per i residenti, in un rischio da evitare per le famiglie, un gioco pericoloso per i più giovani. E soprattutto in un evento antisociale da cui proteggersi. Adesso, dopo anni di sregolatezza, spesso per le difficoltà, vere e presunte, dei sindaci, ecco scendere in campo lo Stato nella sua funzione più alta di garanzia della sicurezza di tutti i cittadini.

Sarà infatti un «decreto sicurezza» lo strumento scelto dal governo, senza coartare il diritto al divertimento, per colpire con precisione chirurgica chi abusa di movida. Il principio è quello di dare ai sindaci il potere di firmare «ordinanze stabili» e quindi permanenti, cioè non impugnabili di fronte ai tribunali amministrativi, ma contemporaneamente affidare i controlli agli organi di polizia per la tutela delle città, della sicurezza dei cittadini, residenti e vacanzieri, per la difesa del diritto al riposo, della vivibilità del proprio tempo esistenziale… La sicurezza viene intesa come un «bene pubblico» un bene comune da salvaguardare, come una regola fondamentale del vivere sociale. Il decreto esiste già. Il ministro degli Interni era già pronto a presentarlo al Consiglio dei ministri già prima delle elezioni comunali. Sarebbe stato Matteo Renzi a chiedergli di rinviare di qualche settimana. Un tempo politico che è stato utilizzato per ottenere il beneplacito dell’Anci, l’associazione di tutti i comuni italiani, che aveva già concordato l’impianto col governo. Infatti il decreto è già stato scritto. Si tratta di una ventina di articoli. L’abbiamo letto. Ecco un sunto sintetico per mettere in evidenza e misure più importanti.

Dei delitti e delle pene.
Nel decreto sicurezza c’è il Daspo: il divieto di accesso alle manifestazioni sportive, nato per combattere la violenza negli stadi, viene traslato contro i pregiudicati della movida. Il Daspo viene sanzionato per iscritto e dura 48 ore. In caso di recidiva e «reiterazione dei fatti», nel caso le infrazioni mettano a rischio la sicurezza pubblica, il questore può disporre un allontanamento più lungo e duraturo, fino ad un anno. E per chi non seguisse il Daspo la pena prevista è compresa fra uno e tre anni di reclusione. Si contempla il sequestro delle cose servite o destinate commettere gli illeciti. Contro «l’abuso di bevande alcoliche, l’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti o psicotrope, all’esercizio della prostituzione, e alla violazione dei divieti di stazionamento e di occupazione di spazi» ci saranno nuove e più incisive e dettagliate limitazioni. Saranno oggetto perciò di nuove tutele «stazioni e giardini pubblici, infrastrutture fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale».

Un bene comune.
La sicurezza non viene vista solo come una misura repressiva. Al contrario viene perseguita «attraverso la riqualificazione e il recupero dei siti più degradati, all’eliminazione dei fattori di marginalità sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare quella di tipo predatorio, dei fenomeni antisociali e di inciviltà allo scopo di fornire strumenti adeguati per garantire una serena convivenza nelle nostre città».

Contro l’abuso di “eventi” e “manifestazioni”.
Viene restituita al Viminale la competenza per decidere sull’opportunità dei grandi eventi: «A tutela della sicurezza di particolari luoghi, il prefetto, sentito il Comitato provinciale per la sicurezza pubblica, definisce sulla base delle direttive del Ministro dell’Interno, individua le aree urbane nelle quali è possibile lo svolgimento di pubbliche manifestazioni, che portano in piazza numerosi partecipanti».

In difesa della bellezza.
Vera novità, con un valore aggiunto di portata culturale, sono gli articoli del decreto che affidano alla polizia urbana la protezione di «aree di particolare pregio artistico, storico o architettonico o interessate da consistenti flussi turistici, o adibite a verde pubblico». I proventi delle pene pecuniarie, inoltre, saranno impiegati obbligatoriamente per il miglioramento del decoro urbano.


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