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11 agosto 2016
«Escape from Venice» per parlare di Alghero
C’è un'economia del turismo predatrice che non guarda all’interesse collettivo, che consuma il suo capitale di ambiente, storia e cultura, che non si preoccupa del decoro urbano pensando solo al proprio interesse particolare. Come ogni estate la riflessione nasce dalle pretese della “movida selvaggia” di infrangere leggi, regole e buon senso pur di lucrare qualche euro in più. A danno di introiti più alti se si introducessero e si rispettassero le regole più elementari di un turismo compatibile e di qualità. Un segnale: tre veneziani al giorno abbandona la laguna per scappare sulla terraferma… Prima che sia troppo tardi


«Escape from Venice»: Scappare da Venezia. Tre cittadini della Serenissima ogni giorno abbandonano la laguna per ritornare sulla terra ferma. Fino a poco tempo fa Venezia era la città di elezione dove tutti desideravano abitare. Non solo ricconi con attracco sul Canal Grande ma anche un ceto medio intellettuale poco più che benestante che a Venezia, a prezzi inferiori a Roma e Milano, Torino e Bologna, trovava una dolcezza della vita cittadina a misura d’uomo. Con un effetto virtuoso sull’economia diffusa che garantiva la sopravvivenza di quei quartieri meno turistici che solo se abitati si salvano dal degrado. Le ragioni della fuga da Venezia sono presto dette. Un turismo sconsiderato, fatto di masse vocianti che la attraversano per poche ore, di navi giganti che ne oscurano la vista per poterla mostrare ai crocieristi che non scendono nemmeno a terra, di orrende bancarelle da stadio di periferia vicino ai più grandi capolavori dell’umanità…

Il serpente si mangia la coda: il turismo mordi e fuggi non ha bisogno di servizi di qualità, di una imprenditoria intelligente capace di fare profitti migliorando il contesto nel quale opera, e quindi poco si preoccupa del degrado del patrimonio umano, culturale, storico, artistico paesaggistico a cui deve la sua fortuna. Insomma è come tagliare l’albero sul cui ramo siamo. Si sarà capito, a questo punto: parliamo di Venezia per parlare di Alghero. Facendo una premessa. Sono molte le cose che in città sono migliorate rispetto alle precedenti stagioni di fuoco e fiamme. Eppure si ha ancora l’impressione che la città non sia riuscita a trovare il suo giusto equilibrio per potere offrire una offerta turistica differenziata capace di soddisfare non solo il pubblico della movida, ma anche quello delle vacanze residenziali, delle famiglie che vanno in “villeggiatura” come si diceva una volta.

C’è invece qualcosa di stonato, brutto, inutile, economicamente debole ma di forte impatto negativo sul decoro urbano di tutta la città. Vengono in mente un sacco di cose, grandi e piccole: dalla giostra al porto, alla chiesa di San Giovanni tappata da un bar ristorante, all’orrore di una rivendita mobile di gelati il cui unico scopo è di fare pubblicità all’Algida, al rumore inarrestabile che si diffonde indisturbato senza regole, a dispetto delle leggi, dalla piazzetta Sulis alla Misericordia a Santa Croce… È vero: quest’anno è stato istituito uno “sportello antirumore”, grazie anche all’aiuto dei volontari, per dare assistenza alle vittime della più insidiosa forma di inquinamento, quello provocato dall’eccesso di esposizione ai decibel. Una politica di prevenzione che però stenta a trovare la giusta misura per intervenire dando fiato ai fautori della repressione. Le leggi ci sono. Bisogna farle rispettare. E comminare le relative sanzioni. Non piace invocare i drastici provvedimenti che portarono l’anno scorso il questore a chiudere un paio di locali che avevano passato il limite. Bisogna dire che quella lezione deve essere servita. Infatti senza la pena la legge non serve a niente. Ma c’è un discorso ancora più importante che non può essere trascurato.

Si dice: con la crisi bisogna trovare modi per attirare il pubblico. Ma è possibile che solo il rumore sia la panacea di ogni male? Davvero si pensa che sparando decibel si rimedia al danno provocato dal mancato flusso turistico dovuto a RyanAir? Stupidaggini. RyanAir ha una funzione virtuosa per la sua capacità, non solo di portare turisti nei periodi di punta, ma soprattutto per garantire quel flusso costante durante la bassa stagione che ha allungato la stagione turistica. La stagione turistica infatti non si allunga con i decibel, ma fornendo un buon servizio di ristorazione, buoni alberghi a prezzi decenti, una ospitalità diffusa di qualità, bei negozi, buone pasticcerie eccetera… Se qualcuna di queste categorie pensa di dover far prevalere le sue peggiori esigenze sugli affari delle altre categorie del servizio turistico il fallimento, a lungo termine è assicurato per tutti. Perciò dire che bisogna aumentare i decibel per favorire l’economia turistica, è un falso. È infatti un insulto a qualsiasi principio di economia turistica consentire a una discoteca della movida selvaggia, per vendere una birretta in più, di far scappare per eccesso di decibel i clienti del vicino albergo che pagano 1500 euro per stanza.

Si considerino soltanto le ricadute che hanno su tutto il territorio quei 1500 euro in termini di posti di lavoro, di investimenti quotidiani per il cibo, forniture di servizi etcetera. Sarebbe come proporre di costruire su tutta capocaccia qualche migliaia di villette a schiera per rilanciare l’economia edilizia della città. Il paradosso indica la malafede delle lamentele dei cosiddetti imprenditori della movida. C’è un difetto di etica dell’interesse collettivo. Le polemiche che si sono succedute alla nuova regolamentazione dell’uso del suolo pubblico da parte del Comune, a nostro parere ancora troppo a buon prezzo rispetto agli utili che consente e alle spese comunali che genera, sono la spia di un deficit morale di una intera categoria di imprenditori verso tutta la città e la sua gente… Così dopo le nuove regole del comune tutti si sono lamentati denunciando la miopia delle autorità. Poi si è scoperto che gli spazi erano aumentati. Chissà se aumenteranno anche gli introiti per il Comune. Consentiteci di dubitarne!
Si sono mai chiesti che ne sarebbe dei loro affari in una città vuota come gli scenari di cartapesta di Cinecittà per un film intitolato: «Escape from Alghero». Fuga da Alghero. Come «Fuga da New York». Altro che fantascienza!
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