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Red 26 febbraio 2017
Coldiretti contro l´invasione del riso straniero
Nell’ultimo anno, le importazioni sono aumentate del 489percento dal Vietnam e del 46percento dalla Thailandia. «Allarme sanitario e crollo dei prezzi di quello sardo», denunciano i vertici dell´associazione di categoria


CAGLIARI - Nel 2016, il riso straniero ha invaso l’Italia, ed oltre la metà arriva dall’Oriente. Nell’ultimo anno, le importazioni sono aumentate del 489percento dal Vietnam e del 46percento dalla Thailandia. Emerge da un’indagine della Coldiretti sui dati Istat dalla quale si evidenzia che, nell’anno appena trascorso, è stato registrato un aumento record del 21percento delle importazioni, che ha fatto scattare ben dodici allerte sanitarie da contaminazione per il riso ed i prodotti a base di riso da Paesi extracomunitari in Europa, secondo i dati del sistema di allarme rapido comunitario. Le partite “fuorilegge” pericolose per la salute dei cittadini riguardano la presenza irregolare di residui antiparassitari, di aflatossine cancerogene o altre tossine oltre i limiti, infestazioni da insetti, livelli fuori norma di metalli pesanti o la presenza di Ogm proibiti in Italia ed in Europa. Un pericolo per i consumatori che si estende a livello comunitario, dove nell’ultima campagna di commercializzazione è stato raggiunto il record di importazioni con l’ingresso in Europa di 1,38milioni di tonnellate di riso lavorato, di cui 370mila dai Paesi meno avanzati.

Un’invasione senza precedenti per l’Italia, dove si produce il 52percento del riso totale europeo, con 237mila ettari. Tra le regioni, a pagarne maggiormente le spese c’è sicuramente la Sardegna, dove 85 aziende (80 ad Oristano e 5 nel Medio Campidano) coltivano a riso circa 3400ettari (circa il 92percento ad Oristano, il resto nel Medio Campidano). Le altre regioni maggior produttrici di riso sono Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (altre superfici interessanti riguardano la Calabria e la Toscana). Ormai, i due terzi delle importazioni non pagano più dazi a causa dell’introduzione da parte dell’Ue del sistema tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime Eba (tutto tranne le armi) a dazio zero. Una misura che finisce in realtà per favorire le multinazionali del commercio senza ricadute concrete sugli agricoltori locali, che subiscono peraltro lo sfruttamento del lavoro anche minorile e danni sulla salute e sull’ambiente provocati dall’impiego intensivo di prodotti chimici vietati in Europa.

«Con l’azzeramento dei dazi siamo stati invasi dal riso straniero – spiega il risicoltore di Cabras Gianni Ferrari - Questo ha abbassato notevolmente i prezzi divenuti per noi insostenibili. Il prezzo del riso al produttore è sceso dal 30 al 60percento, a seconda della varietà. Il carnaroli è passato da 75euro al quintale a 30. Produrre un quintale di riso costa 30euro. Insomma, stiamo producendo sotto i costi di produzione. Una mazzata che costringerà molti risicoltori a cambiare mestiere anche perché già penalizzati dai fenicotteri fuori controllo e dalle cartelle pazze dell’acqua: quando andiamo a seminare non sappiamo quanto ci costerà l’acqua. Stiamo subendo - secondo Ferrari - una concorrenza sleale. Produciamo riso di altissima qualità; abbiamo delle regole rigide e controlli frequenti e giustamente severi. Dall’altra invece? Come vengono prodotti? Cosa contengono? Il mio riso, è per scelta tracciato: ha una etichetta trasparente che indica l’origine. Purtroppo però questo non è obbligatorio».

«I nostri produttori pagano il prezzo dell’assenza di trasparenza – evidenzia il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu - Il riso Made in Italy, è una realtà da primato per qualità, tipicità e sostenibilità che andrebbe tutelato e difeso con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza. L’indistintività vanifica gli sforzi dei nostri agricoltori, per il riso così come per il grano, penalizzando produttori e consumatori costretti ad acquistare senza consapevolezza. Seguono percorsi produttivi e regole diverse ma poi non si distinguono nel bancone del supermercato». «Il riso sardo ha qualità ancora superiori – continua il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba – grazie al clima che consente una migliore germinazione e più resistenza alle malattie, che si traduce in meno trattamenti. Ma il dono della natura diventa un difetto, perché non c’è continuità territoriale delle merci. Il riso per esempio costa 3–4euro in più al quintale rispetto a quello prodotto nel resto della Penisola. Inoltre, oltre a non esserci promozione dei prodotti sardi nelle mense, come sottolinea la nostra organizzazione a livello nazionale, occorre pubblicizzare i nomi delle industrie che utilizzano riso straniero. Servono interventi comunitari tempestivi ed efficaci nei confronti delle importazioni incontrollate, che prevengano il rischio di perdite economiche per i nostri risicoltori. In tal senso, la clausola di salvaguardia, già rifiutata dalla Ue senza una quantificazione evidente dei danni, dovrebbe essere applicata con una procedura più efficace dall'Unione».
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