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Red 25 luglio 2017
Primo fine settimana per il Cala Gonone jazz festival
Il primo grande week-end della 30esima edizione si è concluso con un immenso Frisell e le letture dei diari di bordo di Gaetano Mura. Al via le attività collaterali fino a giovedì 27 luglio. Si riparte venerdì 28, con Elva Lutza e Toni Momrelle


CALA GONONE - La maratona di sabato e domenica a Cala Gonone è stata il terreno di prova per gli organizzatori della 30esima edizione del festival, all’altezza della situazione in una gestione degli spettacoli che ha visto dislocarsi sei spettacoli in quattro diverse location. Le Grotte del Bue marino sono state il fondale perfetto per il progetto “Rumì” di Luisa Cottifogli in duo con il chitarrista Gabriele Bombardini ed un nostalgico e fiabesco editing video di Matteo Bevilacqua. Racconti dall’Emilia Romagna del Romeo leggendario delle pianure tra proiezioni sulla pietra calcarea, recital in dialetto romagnolo e sperimentazioni vocali ipnotiche ed evocative. All’Acquario, la sorpresa dei giovani Svm (Sanna al piano, Vacca alla batteria e Medde al basso), emersi tra le fila dei più importanti festival jazz nazionali, hanno smosso l’atmosfera distesa di questo particolare palco grazie ad un'esibizione tra il fusion ed il prog, poche battute ed una varietà di ritmi si sono rincorsi per riprendersi e tramutarsi in un concerto che si è meritato il plauso del pubblico presente, ma che si spera sarà per loro sempre più numeroso.

Al Teatro comunale, è arrivato Bill Frisell, con Kenny Wollsen alla batteria e Tony Scherr al basso. Il chitarrista leggendario ha radunato un numero esorbitante di cultori e la sala gremita è rimasta attenta e concentrata durante ogni singola nota, spaziando tra improvvisazione, brani storici e pezzi tratti da “When you wish upon a star” e “Small town”. Scale cromatiche, battute lunghe, trascinate e musicalmente ineccepibili, hanno ricordato come il jazz non abbia bisogno di grandi spazi o siti sconfinati, ma possa toccare altissime vette anche in luoghi non sospetti. La notte è proseguita nella spiaggia centrale dove, distesa tra la fitta arenaria, affacciata al parapetto, dai locali e dagli hotel, l’intera Cala Gonone, curiosa ed incantata, ha seguito fino a tardi i due concerti organizzati dall’associazione Intermezzo Nuoro: Linda Oh ed il tributo ai Pink Floyd dei Signs of Life. La band della contrabbassista australiana, riservata e sorprendente, ha saputo farsi amare anche da chi, per caso, è capitato da quelle parti con pezzi di grande spessore realizzati da strumentisti virtuosi, composti ed eseguiti con leggerezza ed una sferzata di novità in un genere che richiede un esigente rinnovamento ed una musicalità che avvicini anche i neofiti. I Signs of Life hanno chiuso questa prima settimana concertistica con canzoni immortali in una performance che ha coniugato anche una suggestiva parte visiva con proiezioni tra i palazzi del piccolo borgo ed effetti da grande palco.

La domenica ha concluso la prima tranche con Gaetano Mura Solo in teatro. Il velista ritorna nel suo ambiente naturale, il mare, a due passi da casa per leggere i suoi diari di bordo tra conversazioni affabili ed un sottofondo incredibile e rielaborato dell’oceano con una prospettiva musicale di Arrogalla. Da lunedì a giovedì, musica ed attività collaterali con Alessio Carta e la proiezione di “Grazia Deledda between literature and jazz”, di Ciriaco Offeddu (oggi). Le giornate del grande jazz ritornano venerdì 28 luglio, per continuare a festeggiare i trent’anni del Cala Gonone jazz festival, per l’aperitivo all’Acquario, alle ore 19, con gli Elva Lutza, la formazione in due di chitarra e tromba, a cui l’associazione è particolarmente affezionata dopo i due spettacoli per la kermesse di Animanera Mediterranea con Ester Formosa nel 2013 e Renat Sette nel 2016. Al Teatro Comunale, dalle 22, un’altra giovane new entry del Cala Gonone jazz festival, la voce soul (ex Incognito) Tony Momrelle. Uno dei musicisti di Soul più emozionanti e significativi della scena britannica moderna, stato definito dalla prestigiosa testata The Guardian come lo Stevie Wonder del Ventunesimo secolo.
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