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Red 19 settembre 2017
Uniss in Cina contro la desertificazione
L’Università degli studi di Sassari ha partecipato, come membro della delegazione ufficiale Italiana, alla 13esima Conferenza delle parti della Convenzione Onu sulla lotta alla desertificazione, che si è svolta ad Ordos (nella Mongolia interna), dal 6 al 16 settembre


SASSARI - L’Università degli studi di Sassari ha partecipato, come membro della delegazione ufficiale Italiana, alla 13esima Conferenza delle parti (Cop 13) della Convenzione Onu sulla lotta alla desertificazione, che si è svolta ad Ordos (nella Mongolia interna, Cina), dal 6 al 16 settembre. Le 196 delegazioni delle parti firmatarie della convenzione lavorano per una convergenza di intenti su due obiettivi principali: lotta alla siccità e neutralità del degrado del suolo (Land degradation neutrality). Negli ultimi decenni, milioni di ettari di terreno in tutto il pianeta si sono desertificati a causa delle attività umane, perdendo la produttività agricola e forestale. La strategia “Land degradation neutrality” dovrebbe garantire entro il 2030 l’azzeramento del degrado del suolo, con interventi nazionali e locali. Le azioni positive più efficaci vanno dal recupero dei suoli degradati al miglioramento della fertilità dei terreni, allo stop al consumo di suolo per urbanizzazioni ed attività industriali.

«Da questo punto di vista nessun Paese firmatario si può considerare più sviluppato di altri», ha sottolineato Monique Barbut, segretario esecutivo della Convenzione, all’apertura dei lavori del Comitato tecnico scientifico della Cop13, di cui ha fatto parte Pier Paolo Roggero, direttore del Nucleo di ricerca sulla desertificazione dell’Università di Sassari. L’attuazione della strategia Land degradation neutrality, ancora in fase di avvio, porterà al monitoraggio di tre indicatori: la produttività delle colture, delle foreste e dei pascoli, il contenuto di sostanza organica ed il grado di copertura vegetale del suolo. In Italia, il degrado del suolo è associato per esempio all’erosione idrica ed al dissesto idrogeologico dei versanti collinari e montani in abbandono, gestiti in modo non sostenibile o percorsi da incendio, o al consumo di suolo per l’edilizia e la viabilità. La situazione in Sardegna merita particolare attenzione: un recente rapporto Ispra ha rivelato che è la regione con il consumo di suolo per abitante più alto d’Italia, per effetto della bassa densità di popolazione e della conversione di terreni agricoli e forestali in aree urbane, strade e zone industriali.

Secondo i delegati alla Conferenza Onu, il problema della siccità legata al cambiamento climatico si può affrontare soltanto con l’adozione urgente di una strategia comune e di piani nazionali, utili per mitigare gli effetti del fenomeno. L’aumento delle temperature e la sempre maggiore frequenza di eventi idrometeorici estremi (lunghi periodi secchi e brevi ed intense precipitazioni) generano improvvise crisi idriche di difficile soluzione in assenza di misure preventive e di un efficace coordinamento per una gestione integrata dell’acqua. Molti Paesi sviluppati (inclusa l’Italia) non si sono ancora dotati di un piano per fronteggiare la siccità in modo coordinato ed efficace, come invece hanno fatto alcuni Paesi in via di sviluppo, ad esempio la Bolivia. Gli effetti della siccità sono sotto gli occhi di tutti: ingenti perdite economiche e di produzione agricola e zootecnica, incendi, razionamento idrico, peggioramento della qualità dell’acqua potabile e così via. È stato ampiamente dimostrato che i costi per limitare i danni a posteriori sono decisamente superiori a quelli necessari per la prevenzione.

«I dati del nostro territorio sono impressionanti: l’annata 2016-17 è stata la più siccitosa da quando sono iniziate le registrazioni idrometeoriche nella stazione meteo del Dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari a Ottava - dichiara Roggero - Nel periodo giugno 2016-maggio 2017, sono caduti appena 289millimetri di pioggia, circa la metà della media cinquantennale. A Sassari, in alcune zone, l’acqua non è potabile e in alcuni quartieri è razionata. Eppure, la Sardegna possieda infrastrutture che garantirebbero, potenzialmente, una grande riserva di acqua per usi agricoli, civili e industriali. Questioni così complesse possono essere affrontate integrando investimenti infrastrutturali con nuove tecnologie, ma soprattutto sviluppando moderni metodi di governance integrata anche attraverso partnership pubblico-privato». L’Università di Sassari partecipa a questo dibattito con progetti internazionali in Sardegna e nei Paesi in via di sviluppo, che costituiscono la base per la didattica universitaria, la ricerca e la cooperazione internazionale.
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