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M.P. 8 febbraio 2018
Suicidio di Michela Deriu: «responsabili» due ragazzi
Al termine della corposa e complessa attività investigativa svolta dalla sezione operativa di Olbia, l’Autorità giudiziaria ha emesso l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di due residenti a Porto Torres, rispettivamente di 24 e 29 anni, ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di diffamazione aggravata e morte come conseguenza di altro reato


PORTO TORRES - A conclusione di una complessa attività investigativa, resa non facile anche a causa della delicatezza dei fatti che sono stati accertati dagli investigatori della sezione operativa del reparto territoriale carabinieri di Olbia, con la preziosa collaborazione della compagnia di Porto Torres, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania ha emesso gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari a carico di due ragazzi di Porto Torres ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dei reati di diffamazione aggravata e morte quale conseguenza di altro delitto. L’atto è stato notificato agli indagati e ai loro legali.

Il 5 novembre 2017, alle ore 3 circa, a La Maddalena, a casa di un’amica che la stava ospitando, Michela Deriu, di soli 22 anni, è stata trovata priva di vita, impiccata in cucina. Sul posto, nell’immediatezza, è intervenuto personale della stazione carabinieri di La Maddalena che ha effettuato i primi accertamenti del caso, rinvenendo nell’abitazione due biglietti scritti a mano il cui contenuto faceva ipotizzare che l’estremo gesto commesso dalla ragazza potesse essere collegato a situazioni precedenti che avessero interessato la sfera personale della vittima. Per tale motivo, subito dopo il ritrovamento dei biglietti, è stato effettuato un sopralluogo estremamente preciso e circostanziato, con il repertamento da parte del personale della sezione operativa del reparto territoriale di tutto ciò che potesse essere considerato fonte di prova.

Considerata la delicatezza della vicenda, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania ha affidato le indagini agli investigatori della sezione operativa del reparto territoriale di Olbia, al fine di verificare se Michela avesse deciso di compiere l’insano gesto perché istigata da terze persone o se vi fossero state situazioni che avessero contribuito in qualche modo nella sua decisione estrema di togliersi la vita. Per delineare l’accaduto, gli investigatori dei carabinieri, da subito, hanno intrapreso gli accertamenti ritenuti necessari per svolgere al meglio l’incarico affidato dall’Autorità giudiziaria, avvalendosi sia delle indagini tradizionali, con l’escussione di oltre cento persone in qualche modo legate e/o vicine alla vittima, sia dell’attività tecnica di intercettazione telefonica, il tutto messo a confronto con una grande quantità di dati e materiale informatico, video e foto sottoposti a sequestro nel corso delle investigazioni.

Al termine della corposa e complessa attività investigativa svolta dalla sezione operativa di Olbia, l’Autorità giudiziaria ha emesso l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di M. C. e R.P., entrambi residenti a Porto Torres, rispettivamente di 24 e 29 anni, ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di diffamazione aggravata e morte come conseguenza di altro reato. L’analisi dei fatti ha consentito di ricostruire l’ultimo periodo di vita di Michela, permettendo nel contempo di descrivere dettagliatamente ciò che la stessa ha fatto in quell’arco temporale, con chi si sia relazionata e quali situazioni di rilievo abbiano caratterizzato il suo percorso personale e, a grandi linee, documentare come la giovane abbia vissuto la sua breve esistenza.

E’ stato accertato che Michela, il 3 novembre 2017, solo dopo che la notizia era stata riportata sugli organi di stampa, ha denunciato, presso la stazione carabinieri di Porto Torres, una patita rapina, a suo dire avvenuta a Porto Torres alle ore 1.30 del 31 ottobre 2017. Tale circostanza, nel corso dell’attività investigativa, non ha trovato alcun fondamento anzi gli elementi raccolti hanno portato a dimostrare che il reato denunciato fosse stato simulato dalla stessa. E’ stato documentato che gli indagati, in concorso tra loro e comunicandolo a più persone, hanno offeso la reputazione di Michela, rivelando, senza il suo consenso, informazioni confidenziali attinenti alla sua vita e abitudini sessuali e, in particolare, hanno mostrato, divulgandolo in questo modo, alcune riprese video e fotografie che ritraevano la giovane mentre consumava un rapporto sessuale.

Alla luce di quanto scritto da Michela in uno dei biglietti che verrà trovato vicino al corpo senza vita, si accenna a “ricatti e umiliazioni per via di un vecchio film”, tanto che i due indagati, sempre in concorso tra loro, hanno contribuito a cagionare, quale conseguenza non voluta, la morte di Michela, la quale, avendo appreso la notizia della diffusione delle informazioni e dei video che la ritraevano mentre faceva sesso, si determinava a togliersi la vita mediante impiccagione.
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