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Red 3 luglio 2018
Psa: situazione difficile in Romania
La Commissione europea chiede aiuto alla Sardegna. Il direttore generale dell´Istituto zooprofilattico sperimentale Alberto Laddomada sarà a supporto dei veterinari di Bucarest


NUORO - Se le carni suine sarde non possono ancora varcare il mare per essere vendute in tutto il mondo a causa della quarantennale presenza della peste suina africana, le buone pratiche e le alte professionalità scientifiche isolane, espresse negli ultimi anni per l’eradicazione del virus dei maiali, vengono richieste dalla Commissione europea nel gestire le emergenze in altri Paesi dell’Unione europea. Alberto Laddomada, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna, è stato contattato nei giorni scorsi dai vertici della sanità animale di Bruxelles per recarsi subito in Romania dove la diffusione della Psa è fonte di grandi preoccupazioni: oltre cento focolai negli ultimi quindici giorni, localizzati soprattutto in allevamenti di piccole dimensioni. Già da lunedì, Laddomada, con un collega della Lituania, sarà nella provincia di Tulcea, alla foce del Danubio, dove si registrano le situazioni più critiche. Obiettivo della missione sanitaria dell’esperto sardo è quello di supportare i servizi veterinari romeni alla luce dell’esperienza maturata negli anni nella lotta alla Psa: prima come responsabile della sanità animale dell’Ue e poi sull’Isola, dove è stato chiamato dalla Giunta Pigliaru per guidare l’Izs e lavorare quindi all’interno dell’Unità di progetto per l’eradicazione della malattia.

La richiesta di supporto manifestata dalla Commissione europea per il caso Romania arriva a pochi giorni dalla lettera inviata dal neoministro della Salute Giulia Grillo al Commissario europeo alla Salute ed alla sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis, dove si riconoscono alla Sardegna gli enormi passi avanti e la forte determinazione politica messa in campo nel contrasto alla Psa. Già il 15 maggio, Francesco Pigliaru si era recato a Bruxelles per illustrare, sempre ad Andriukaitis, i risultati raggiunti nelle attività di eradicazione e per perorare la causa dello sblocco alle esportazioni delle carni suine sarde. Un superamento parziale dell’embargo, che riguarderebbe quei territori regionali dove non è presente il virus. Infatti, le azioni promosse dall’Udp hanno permesso di contenere notevolmente la Psa limitandone la presenza fra i maiali domestici solo ad alcuni territori della Barbagia e dell’Ogliastra, dove è tutt’ora presente la pratica illegale del pascolo brado: prima vera causa dell’alimentazione e della trasmissione costante della malattia tra soggetti infetti e sani. Se nel 2013, ultima stagione di forte presenza del virus, si erano registrati 109 focolai nelle aziende regolari, nel 2018 si è scesi a tre, passando per i quaranta del 2014, i sedici del 2015, i ventitre del 2016 ed i diciassette dello scorso anno.

«Negli ultimi mesi, in diversi paesi dell’Europa orientale e nella Federazione russa, la Psa si sta diffondendo pericolosamente senza che si riesca a porre degli argini soprattutto fra le popolazioni dei cinghiali. La recente incursione della malattia dall’Ucraina verso i territori del delta del Danubio, in un contesto sociale e geografico molto particolare, è causa di forti preoccupazioni da parte delle autorità di Bucarest e Bruxelles». Questo il commento del direttore generale dell’Izs, che ha aggiunto: «L’esperienza maturata soprattutto in questi ultimi anni in Sardegna e all’interno dell’Udp mi auguro sia utile ai colleghi romeni che, per la prima volta insieme a migliaia di veterinari di tutto l’est europeo, sono chiamati a confrontarsi con una malattia così terribile e letale per i suini». Se da un lato l’espansione della Psa in Eurasia rischia di causare contraccolpi economici epocali fra i maggiori Stati produttori e consumatori al mondo, dall’altro si è creato un interesse maggiore e quindi una necessità sempre più forte di eliminare questa malattia attraverso nuovi investimenti sul piano della ricerca scientifica. L’unico strumento che ad oggi può fermare il dilagare del virus, non avendo in disponibilità alcun tipo di vaccino, è il vuoto biologico degli animali interessati e la quarantena di quelli sani. Ed è proprio sul raggiungimento di un vaccino che vogliono puntare i Paesi a maggior rischio di contagio. «Quando ad avere il problema eravamo solo noi Sardegna e l’Africa sub-sahariana – ha osservato Laddomada – non c’era un particolare interesse internazionale a investire risorse importanti per la ricerca di una cura. Oggi che la malattia sta coinvolgendo numerosi Stati, direttamente o indirettamente, i fondi disponibili e la sensibilità generale sono in aumento. Se tutto dovesse tuttavia andare per il meglio – ha aggiunto il direttore dell’Izs – sarebbero necessari almeno sette o otto anni di studi e sperimentazioni per poter arrivare a un vaccino, anche se non è assolutamente scontato che si riesca a raggiungere positivamente l’obiettivo».
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