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Mariangela Pala 28 agosto 2015
Porto Torres, degrado al campo Rom: fuga dalla terra di nessuno
Degrado igienico e ambientale, sporcizia ovunque e tra le abitazioni, tubature rotte e fogne a cielo aperto, bimbi che giocano in spazi precari. E’ la situazione del campo rom di Porto Torres


PORTO TORRES - Degrado igienico e ambientale, sporcizia ovunque e tra le abitazioni, tubature rotte e fogne a cielo aperto, bimbi che giocano in spazi precari. E’ la situazione del campo rom di Porto Torres, situato in località “Nuragheddu” tra la strada di collegamento interna alla borgata di Li Lioni e l’arteria stradale che porta a Ponti Pizzinnu. Un pezzo di città, dove le giornate si concludono tutte allo stesso modo: fumi, roghi tossici e risse. Certe volte ci scappa pure il ferito, a volte l’arresto.

Nell’area sosta di circa 4mila mq, articolata in 15 piazzole, ci vive una comunità Romà dassikanè di circa 90 persone tra cumuli di rifiuti più o meno tossici, topi e scarafaggi, mancato ritiro dei sacchi di mondezza e allagamenti. «Tutto questo – accusa l’associazione Asce (Associazione sarda contro l’emarginazione) Rom - nell'indifferenza delle istituzioni nonostante le ripetute segnalazioni a Comune ed Enti». La situazione è preoccupante e deprimente. Tra le baracche spiccano pezzi di auto, masserizie varie e colonie di topi. La situazione interna del campo è tra quelle più inquietanti di tutta la città.

Tra tensioni famigliari che continuano ad esserci all’ordine del giorno, si respira un’aria pesante, tanto che molte famiglie per sfuggire allo stato di degrado hanno deciso di emigrare verso altre mete vicine, come Sorso, Castelsardo e Sassari alla ricerca di alloggi dignitosi, occupando le case in maniera abusiva pur di trovare una degna sistemazione. «L'occupazione, più o meno fortunata di Bruno e Marina, a Marritza ha dato origine ad una reazione a catena più che comprensibile, date le spaventose condizioni igieniche del campo», aggiunge la vicepresidente Asce, Irene Baule, sottolineando tra le altre problematiche quella del sovraffollamento «le famiglie si moltiplicano, alcuni ragazzi si sposano e vanno altrove, in Sardegna e in continente, altri rimangono, e nelle 15 piazzole originarie assegnate alle famiglie all'interno del campo, si dividono come cellule i nuovi nuclei composti da 40/45 adulti e altrettanti bambini (tra cui 2 adulti e 3 bambini disabili certificati)».

Secondo la responsabile Asce il sovraffollamento comporta tutti i problemi di convivenza, come il malumore tra vicini e l'insofferenza per comportamenti che non sono condivisi o condivisibili. A queste famiglie si aggiungono quella composta da 2 adulti e 9 figli che aveva trovato alloggio presso l’Ostello della gioventù di Porto Torres, e una famiglia con tre figli e due genitori con gravi patologie residente in città. Ma superare la questione dei villaggi rom, o quella degli insediamenti abusivi non è cosa semplice. E’ certo, però che, di fronte ad una ordinanza di sgombero dalle case ritenute abusive, emessa tre anni fa nei confronti della comunità rom, occorre innanzitutto individuare la necessità di integrare le famiglie nel contesto della città e non riservare a loro luoghi marginali e chiusi, che in questi anni si sono dimostrati non adeguati all'obiettivo di una piena integrazione e, anzi, hanno creato situazioni critiche dal punto di vista della sicurezza urbana e del degrado.

«Noi siamo disposti ad abbattere le case e ad andare via, ma vogliamo soluzioni alternative, altrimenti i nostri figli restano senza tetto», ha detto Franko Nikolic, residente nel campo sosta. «Esistono finanziamenti della comunità europea che consentono di collocarci in abitazioni civili private ed uscire da questo “ghetto”», ha aggiunto Gianni Andekovic. «Avevamo fatto una riunione tutti insieme, rom e Asce, ai primi di giugno, concordando un piano d'azione che prevedeva un nostro incontro con il nuovo sindaco Wheeler, presentandogli progetti personalizzati con il fine ultimo della chiusura in tempi brevi del campo, o quanto meno la trasformazione di uno spazio di lavoro attrezzato ed organizzato, utilizzando finanziamenti europei», ha affermato Irene Baule.

A quella proposta, fino ad ora, nessuna risposta è pervenuta dal sindaco all’associazione. Nel frattempo le famiglie hanno perso le speranze e la pazienza. «Pur essendo contrari alle occupazioni, poichè comportano per loro difficoltà veramente grandi, cerchiamo di supportarli con informazioni e consigli operativi, e speriamo di essere ricevuti al più presto dal sindaco per poter risolvere anche le situazioni dei nuclei più deboli, per agevolare i processi di inclusione, a partire dal problema della scolarizzazione dei minori, dato l'imminente avvio dell'anno scolastico». La speranza per queste persone nate e residenti in città, (in quarant'anni si è già alla quarta generazione a partire dalla nonna Mileva morta centenaria quest'anno tra le sofferenze e i rifiuti), è quello di intraprendere un vero percorso di integrazione, con l’acquisizione di diritti e doveri, concludendo un'esperienza che ha evidenziato tutti i limiti del modello campo.

*Campo rom di Porto Torres


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